Chopin e pensieri sparsi sui Concerti per Pianoforte ed Orchestra op. 21 e 11

Chopin Concerti pianoforte

In questi giorni si sta disputando la diciottesima edizione del Concorso pianistico internazionale Fryderyk Chopin, interamente dedicato alla musica dell’illustre compositore polacco.
Attualmente vede dodici candidati in finale alle prese con gli impegnativi Concerti per pianoforte ed orchestra.

Nella produzione chopiniana questi concerti però non occupano una posizione predominante, anzi.
Appartengono a quel genere di lavori che i grandi interpreti-compositori scrivevano soprattutto per servisene nelle pubbliche esecuzioni come sfoggio di classe e virtuosismo: una tradizione che viene da lontano (come avevamo già visto con il concerto barocco) ma che venne definitivamente consolidata con i grandi lavori di Paganini.

Un po’ di storia

Chopin, che nei primi diciannove anni della sua vita aveva vissuto a Varsavia, nell’estate del 1829 decise di intraprendere un viaggio nella capitale mondiale della musica: Vienna.
Lì ebbe l’occasione di suonare accompagnato da un’orchestra e decise di eseguire le sue Variazioni su un tema del “Don Giovanni” op. 2 (il brano che consentì al “critico” Schumann di scoprire il genio di Chopin) composte circa due anni prima. L’esecuzione andò benissimo, il pubblico fu molto contento così come la stampa, al punto tale che gli venne offerta la possibilità di esibirsi nuovamente.
Una volta tornato a Varsavia Chopin si mise a scrivere in fretta e furia i due concerti: il Fa minore op. 21 (primo in ordine di composizione) ed il Mi minore op. 11.
Questi lavori erano, secondo il giovane compositore, indispensabili per mostrare al pubblico viennese le sue doti pianistiche ed assumere anche il ruolo di sfidante dei grandi concertisti dell’epoca come Thalberg o Döhler (allievo di Carl Czerny).
Una volta tornato a Vienna le cose però non andarono così bene.

“Non so cosa mi manca ed ho già più di vent’anni” si legge nel suo diario.
Quello che il giovane virtuoso non sapeva è che nell’estate del 1829 a Vienna non aveva avuto rivali: durante quel periodo infatti l’aristocrazia era in vacanza in altre località e con loro c’erano anche i grandi pianisti.
Una volta tornato in città a novembre 1930 riuscire ad esibirsi nelle dimore dei magnati dell’epoca fu difficilissimo a causa proprio della terribile concorrenza.
Quello che riuscì ad ottenere fu una sola esecuzione (peraltro non retribuita) del Concerto op. 11 e qualche attestazione di stima e simpatia da quei pochi che si ricordavano di lui.

Breve analisi dei due Concerti

A livello architettonico le strutture dei due concerti sono assolutamente simili e classiche: hanno però due piccole particolarità che vedremo nel dettaglio.

I. Per quanto riguarda il primo movimento del Concerto op. 21 abbiamo una forma sonata abbastanza tradizionale dove mi sento di segnalare giusto una fin troppo breve riesposizione del Tema I nella ripresa, dove viene a malapena citato ed è subito seguito dal secondo che, attraverso gli stessi disegni ornamentali dell’esposizione, conduce alla fine del movimento.
Andando nel dettaglio possiamo notare, oltre all’introduzione cadenzante del pianoforte, le caratteristiche dei due Temi: essi sono operistici, quasi degli ariosi e contrastano molto con i temi secondari delle transizioni e dei ponti modulanti che invece sono a carattere fortemente virtuosistico.
II. secondo movimento è in forma bipartita di Lied (A-B-A), con la A formata da un’ampia ed elegante melodia in contrasto con una B (a carattere di recitativo)che si oppone con una certa drammaticità alla dolcezza della prima.
III. Il terzo movimento invece è un Rondò costituito da due temi principali (riconducibili a melodie folkloristiche polacche di cui il compositore è sempre stato appassionato) con numerosi episodi virtuosistici che si intercalano ai temi talvolta come variazioni degli stessi. In questi episodi è piacevole notare l’assenza degli stereotipi del virtuosismo dell’epoca: Chopin infatti cerca soluzioni diverse dalle scale in doppie terze o dagli arpeggi che si incontrano facilmente nei concerti dei suoi immediati predecessori.

I. Anche l’architettura del Concerto op. 11 è simile ma ha una particolarità (tale che la mia insegnante di composizione, in un eccesso tipico del suo granitico carattere, lo definiva “musica sbagliata”): il secondo tema è scritto nella parallela maggiore della tonalità di impianto del pezzo e nella ripresa viene invece presentato nella relativa maggiore. Chopin di fatto modifica pesantemente la tradizionale struttura della forma sonata minore, come avveniva in certe sinfonie italiane dell’epoca come la Sinfonia della Norma di Bellini.
II. Il secondo movimento è una Romanza “calma e malinconica”, la forma quasi libera ricorda un’improvvisazione. I due temi si susseguono, si incontrano e si modificano a volte a vicenda, in un’atmosfera molto soffice e cantabile rotta solo dal terzo tema, agitato, in Do# minore.
III. Anche in questo concerto il Rondò finale ha temi riconducibili al folklore polacco, con un virtuosismo elegante e mai stereotipato che però mal si adattava al gusto del pubblico dell’epoca, che invece magari avrebbe preferito ben altro genere di fuochi d’artificio.

Possibili motivazioni dello scarso successo

È inutile che ci prendiamo in giro, Chopin non era un compositore amante delle grandi (e talvolta anche po’ troppo rigide) forme. Lo dimostrano anche le sue Sonate, assolutamente magnifiche per la quantità e qualità delle idee, ma che mancano di quello spirito formale tipico della sonata che invece troviamo molto chiaro in altri autori.
Dopotutto che i due Concerti non siano a livello dei brani in forma breve, come le ballate o le polacche, non c’è assolutamente nessun dubbio. Non è un caso che negli adagi, dove la rigidità formale è meno pressante rispetto agli altri movimenti, la fantasia di Chopin scorra più libera e meno costretta dai vincoli classici della forma.

C’è un’altra questione, che riguarda l’orecchio compositivo di Chopin: il suo era un orecchio genuinamente pianistico, capace di creare combinazioni sonore sulla tastiera al limite dell’irreale ma che dinnanzi alla scrittura per altri strumenti si dimostrava non sempre capace di generare idee dalla stessa grandiosità e freschezza.
Ed anche i momenti di cadenza e a solo del pianoforte, dove la genialità del compositore si mostra in tutta la sua magnificenza ed eleganza, non fanno che accentuare il contrasto tra la parte solista e quella orchestrale.

Ma questo basta a spiegare lo scarso successo che ebbero all’epoca? Forse no, perché insieme alla questione meramente politico-impreditoriale (Chopin a Vienna mancava dell’appoggio di personaggi come i principi Metternich o Schwarzenberg e grandi didatti-pianisti come Czerny o Hummel) c’è anche una questione stilistica a cui ho già accennato in precedenza: il virtuosismo raffinato e poetico di Chopin è ben lontano da quello eccessivo ed inebriante di altri suoi contemporanei come Thalberg, nettamente preferito dal pubblico dell’epoca.
Non è un caso infatti che dal 1830 in poi Chopin eseguì davvero raramente i suoi concerti e quasi sempre malvolentieri.